L’antitesi dell’industrialità, un vaccino contro l’omologazione, un affronto alla serialità. Quello di Emidio Pepe e della sua famiglia è uno dei nomi legati al concetto di vino come testimonianza di varietà e di diversità. Ogni singola bottiglia di questa cantina racconta una storia differente; ogni annata racconta invece la stessa declinata in maniera diversa, una vicenda contadina che costituisce parte integrante della storia di un territorio fino a sovrapporvisi, ad appartenergli in maniera totale e viscerale.
Emidio Pepe e le sue figlie hanno anche l’enorme merito di essere riusciti nel racconto di due vitigni, montepulciano e trebbiano d’Abruzzo, disvelando le loro enormi potenzialità attraverso vini longevi e di grande personalità. Nel segno di una tradizione votata all’invecchiamento, questa cantina continua a dare vita a prodotti complessi, che a volte destano qualche perplessità, specie ai palati più abituati a un gusto “addomesticato”, per la caratterialità che li contraddistingue nel percorso evolutivo: ovvio che sia così, dal momento che si tratta di vini concepiti per durare nel tempo e realizzati nel segno di una pratica naturale che più che una scelta rappresenta la tradizione e una vocazione.
Tra i filari solo zolfo naturale, rame e attenzione alla biodiversità, poi vendemmia manuale e pigiatura con i piedi; in cantina no alla solforosa aggiunta e pochissimi interventi sul vino, lieviti rigorosamente autoctoni, nessuna chiarifica o filtrazione. I vini, al di là dell’originale garanzia ventennale dell’azienda, sono davvero tempo in bottiglia: sono dotati di quella Forza del carattere della quale ci ha parlato Hillman, quella che si manifesta in un invecchiamento che svela e manifesta il carattere anziché la morte e che dovrebbe farci considerare ogni operazione di chirurgia estetica, ogni artificiosità, alla stregua di un crimine.