Qui siamo di fronte a uno di quei viticoltori capaci di farsi carico della responsabilità di restituire dignità a un vitigno e a un territorio. Quando pochi anni fa Francesco Maria De Franco, architetto convertito all’agricoltura, è tornato a Cirò per occuparsi delle vigne di famiglia con l’intenzione di cominciare a produrre vino, il panorama enologico della denominazione era caratterizzato soprattutto da produzioni massive e omologate.
La tendenza era all’incirca la stessa già denunciata da Mario Soldati nel terzo viaggio di Vino al vino (autunno 1975), vale a dire quella che fa regolarmente riferimento a modelli estranei alla storia e alle caratteristiche del territorio. La solita prescrizione ineludibile degli uffici marketing, il solito saggio consiglio su come- deve-essere il vino: peccato che dalle parti di Cirò la viticoltura sia una questione quotidiana da qualche migliaio di anni. In ballo, neanche a dirlo, c’era il progetto di modifica del Disciplinare del Cirò poi approvato nel 2010, al quale De Franco si è opposto con tenacia in compagnia di pochi altri, peraltro in un luogo nel quale la battaglia era più dura come sempre accade quando si è lontani dai riflettori.