Cocciacavallo era il soprannome del nonno di Marina, che già all’inizio del Novecento produceva vino sulle colline irpine. Che - tra i 400 e i 750 metri, a Pratola Serra - sono circondati da piante perenni, da boschi di varie specie e da alveari di api, che proteggono e conservano un ecosistema formato da insetti, volatili, coccinelle, rane, talpe, lucertole e ogni altro tipo di fauna utile a favorire la continuazione della catena alimentare. Quest’intorno non viene turbato dall’attività in vigna, dove non arriva concime chimico né diserbante. Il terreno viene trattato interrando erbe seminative o vernine, intorno alle piante la lavorazione è manuale. Gli unici trattamenti “ammessi” solo quelli indispensabili e a base di rame e zolfo di miniera, in dosi ridotte. In cantina, solo lieviti indigeni naturali e lavorazioni manuali - senza chimica -. I vini di Cocciacavallo sono quelli del territorio (fiano e aglianico), l’uva utilizzata solo quelle delle proprie vigne. “I vini che variano di anno in anno: nella gradazione, nel gusto, nel sapore e negli aromi - spiega Marina. Succede perché - anche se il prodotto di base rimane lo stesso, hai quella complessità in più che la natura quell’anno ti ha donato”.