Gianmarco Antonuzi è per molti l’uomo del Litrozzo, vino essenziale, genuino e un po’ rustico da bere in compagnia. E in qualche modo Gianmarco - che con la moglie Clémentine Bouveron conduce dal 2004 l’azienda sulle colline del lago di Bolsena - è come il suo vino schietto e gioviale. Ma Antonuzi è anche vignaiolo capace e determinato. Merito forse del “praticantato” in piccole aziende naturali di Francia, che ha lasciato un segno indelebile sotto l’aspetto tecnico, filosofico e attitudinale. Il minimo comun denominatore dei vini - ormai 14 - di questa cantina è infatti una vocazione all’essenzialità e all’agevolezza di beva, che passa per un’impostazione scarna e un’espressività aerea caratteristiche di una certa scuola d’oltralpe. Sono vini che dividono gli addetti ai lavori ma uniscono nel segno della convivialità. Alcuni li amano per la riluttanza al compromesso e a certe rotondità e morbidezze eccessive; altri li reputano eccessivamente rustici e non abbastanza piacevoli dal punto di vista organolettico. Lui invece li divide, non senza una buona dose di autoironia, in “vini antintellettuali” (con particolare riferimento al Litrozzo) e “seghe intellettuali” (i prodotti di fascia un po’ più alta). In realtà sono prodotti d’artigianato realizzati con cura e attenzione e senza trucchi. In vigna - in parte vecchie vigne in affitto - gli autoctoni per antonomasia, aleatico e grechetto rosso, insieme qualche altra uva locale (procanico, cannaiolo e pampanone). Conduzione biodinamica non certificata (per scelta): l’imperativo è preservare quanto più possibile l’uva allo scopo di mantenere integra ogni sua caratteristica.