Si impiegano anni per poter far ricordare il nome della propria cantina ai palati del settore, privilegio ovviamente riservato solamente ai grandi vignaioli. C’è qualcuno che dal 1995 ci prova e non solo è riuscito nel suo intento, ma ha anche triplicato il risultato. Il suo nome è Fattoria San Lorenzo, per chi ha conosciuto l’azienda solo sulla carta, ma che - per chi ha avuto il piacere di incontrarne l’artefice di persona, grande difensore delle tradizioni contro le mode del momento e per per chi beve i suoi vini che sfidano il tempo - si chiama semplicemente “le Oche”.
Siamo a Montecarotto, sulla sponda sinistra del fiume Esino, nel settore più a Nord della denominazione Castelli di Jesi. Natalino è la terza generazione di una famiglia di origini abruzzesi, eredita l’azienda del padre, Gino, gran- de selezionatore di cloni di verdicchio ed esperto potatore, che a sua volta l’aveva ereditata dal nonno di Natalino, Enrico Crognaletti, mastro bottaio. È proprio dalle sue origini che trae significato il nome del suo vino più rap- presentativo, Campo delle Oche: è infatti dalla tradizione abruzzese che la famiglia Crognaletti si porta con sé l’animale da cortile che ora risalta fiero nelle etichette prodotte dall’azienda, l’oca.
Imboccando via San Lorenzo si possono scorgere ai lati della strada le prime vigne, si arriva poi ad un cancello in cui statuette di oche fanno la guardia. Le oche, quelle vere, ci sono davvero e appena varcata la soglia del cancello le si vedono scorrazzare in libertà nel cortile. Nel giro di qualche minuto poi, sopraggiungerà Natalino, che vi darà il suo benvenuto attraverso la sua inconfondibile risata che riecheggerà nell’aria. Anche i suoi vini - del resto - sono inconfondibili e sono il risultato della filosofia che li contraddistingue. Natalino si occupa personalmente della gestione sia in vigna che in cantina, intervenendo in realtà il meno possibile e lasciando che la natura faccia il suo corso. Il “pascolo” che le oche di tanto in tanto fanno in giro per i filari certifica la filosofia biodinamica dell’azienda in cui gli unici trattamenti di zolfo e rame sono di quantità pressoché irrilevanti. Il lavoro in cantina è supportato anche dall’enologo Hartmann Donà e continua come è iniziato nel campo: la fermentazione è spontanea, attivata da lieviti indigeni e i vini sono caratterizzati da lunghe maturazioni tra vasche di cemento e vecchie botti di differenti dimensioni.