Quelli di Nicoletta Bocca sono vini narrativi e partigiani. Sarà per una questione di ereditarietà - Nicoletta è figlia di Giorgio, grande giornalista e comandante delle divisioni di Giustizia e Libertà operanti nelle valli del cuneese - o semplicemente per via dello spessore intellettuale di questa ragazza che, arrampicatasi sulla collina di San Fereolo agli inizi degli anni Novanta, ha dato vita a un percorso caratterizzato da tenacia e gusto della sfida. Perché ci vuole il coraggio di chi crede profondamente in ciò che fa per scegliere la via biodinamica ben prima dell’avvento di certe mode e poi battersi senza tregua per restituire dignità a un territorio e a un vitigno sviliti da scelte produttive e commerciali quantomeno discutibili. Così Nicoletta ha cominciato - all’ombra di un vicino ingombrante come la Langa del Barolo - a dare vita a vini indimenticabili e personali. Il San Fereolo è ormai un classico, un
vino di razza che seduce a dispetto di un portamento severo e di una comunicatività tutt’altro che accondiscendente; il Valdibà è Dogliani restiuita a Dogliani; l’Austri è piemonte al 100%, un concentrato di austerità ed essenzialità; il Coste di Riavolo - un assemblaggio di riesling e gewurtztraminer - è un bianco di classe assoluta, un sorso capace di sparigliare le carte e minare le certezze. Vini con i quali Nicoletta ha scritto il suo racconto, ferma sull’ultima collina come il partigiano Johnny di Fenoglio. Conscia che l’importante è questo: che ne rimanga sempre uno.