Nel sorriso gentile e nello sguardo furbo e gioviale di Antonio Simeti c’è tutta l’ “altra” Sicilia: quella che vuole raccontarsi senza assecondare le disposizioni degli uffici marketing e del gusto globale, che si ostina a voler valorizzare l’autoctono senza stravolgerne i connotati, che si tiene alla larga dalle pagine patinate per restare vicina alla terra e ai saperi contadini. La storia di Bosco Falconeria è antitetica a quella di tante aziende trendy dell’isola, costruite nell’immagine come nel prodotto. Nata tra Partinico e Alcamo nella contrada omonima negli anni 30, Bosco Falconeria - l’azienda Simeti Taylor - è cresciuta per poi fermarsi e rinascere. Oggi è una realtà di riferimento per molti, anche perché in possesso di una vocazione alla sostenibilità e all’etica: una delle prime aziende a intraprendere la strada del biologico prima (a metà degli anni 80) e poi della biodinamica, sperimenta esperienze
di vendita diretta e co-produzione, collabora con “Addio pizzo” e si è dotata di un impianto fotovoltaico per l’autosufficienza energetica. Il vino è centrale ma non è l’unico centro, ha
pari dignità di altri prodotti, come l’olio, che va in bottiglia da un decennio. Eppure i vini sono paradigmatici e personali. Nascono da vigne di catarratto, catarratto extralucido e nero d’Avola messe a dimora su terreni calcarei e vocati. Sanno essere scomodi, ritrosi, perfino scontrosi ma posseggono una grande generosità e un carattere tutt’altro che banale. Il Catarratto, certo, ma anche il Nero d’Avola, è agli antipodi delle sue versioni massificate e omologate: un frutto ricco ma corroborato dall’acidità e un piglio risoluto, quasi austero in alcuni suoi tratti a farla da padrone. Un piccolo grande riscatto per vitigno e territorio.