Uve uniche, perfettamente mature a metà ottobre. Gli ingredienti sono semplici, anche se rari. Terreno lavico, escursione termica,
sole che batte senza sosta durante il giorno. Siamo sull’Etna, ospiti dell’azienda agricola Calabretta, nelle contrade dai nomi sonori
come Montedolce e Passopisciaro. Il cognome (Calabretta) è di Gaetano, che all’inizio del secolo trascorso sposa Grazia, e con lei mette mano a terreni ereditati poco prima. Quattro generazioni, fino all’attuale, rappresentata dai cugini Massimo e Massimiliano, che si impegnano nella tutela del territorio - con i muri a secco e i sentieri per le viti - mantengono i vini della tradizione, come l’Etna rosso invecchiato e il rosato “Pista & Mutta”, affiancandogli, tra i 600 e i 1.000 metri, i vini di contrada (dedicati agli avi), il bianco dall’autoctono carricante e monovitigni in purezza come nerello cappuccio, minnella mianca, il nuovo piedefranco di nerello mascalese e perfino un pinot noir fuori zona. Anche Massimiliano si considera un vignaiuolo “apocrifo”, dato che vive a Genova: “Ma
sono sceso per lunghi mesi in campo e in cantina per capire, per imparare, per fare e per rivoluzionare me stesso. Credo nei vini
che piacciono e non in quelli da gara. Il vino è buono se i commensali continuano a riempire il bicchiere”. Il motto aziendale? “Se vuoi essere unico, devi essere differente”.