Salvo Foti è un vignaiolo dell’Etna, ma è soprattutto un maestro.
Un maestro che non si fa fatica a collocare storicamente molto indietro nel tempo, nel 1435, quando nacque la Maestranza dei Vigneri: un’associazione di viticoltori che aveva come obiettivo principale quello di insegnare alle nuove generazioni i principi di coltivazione della vigna e della produzione del vino nel territorio del più alto vulcano d’Europa. Una bottega per la formazione dei giovani che sarebbero diventati i vignaioli del futuro e che alimentava un sistema per il trasferimento della conoscenza che procedeva di generazione in generazione. Questo sistema di formazione ha resistito per secoli, fino ad essere praticamente smantellato negli ultimi cinquant’anni per costruire al suo posto un mondo in cui i vecchi, depositari di mestiere ed esperienza, vengono mandati in pensione in attesa di morire e i giovani, privi ormai di quella conoscenza sedimentatasi durante millenni di storia viticola, abban- donano le vigne e le terrazze.
Salvo Foti, Maestro per vocazione, ha dunque un’intuizione semplicissima e rivoluzionaria insieme: prima di coltivare la vigna, bisogna coltivare gli uomini. Dopo decenni in cui si è perso tutto (o quasi) della motivazione che spinge il viticoltore ad alzarsi prima dell’alba, a gelare sottozero e poi ad ar- rostirsi al sole per inerpicarsi sui fianchi ripidi dell’Etna e andare a costruire, riparare, preservare le terrazze in pietra che da 3.000 anni rendono possibile la viticoltura, coltivare gli uomini è, infatti, l’unica possibilità di riscatto. Le terrazze sono da sempre la più tangibile forma di rispetto dell’uomo per la Montagna, l’espressione del sentimento di amore e di riconoscenza per la fertilità che il vulcano dona alla terra. L’homo aetneus sa che prima di piantare una vite deve costruire una terrazza, questo è parte della sua cultura, è il suo modo di lavorare, da sempre.