Quando parlano di vin de garage i francesi hanno in mente esattamente a vini come questi. Prodotti a tiratura limitata provenienti da microappezzamenti e vinificati in cantine che sono parte integrante dell’abitazione del vignaiolo (da qui il riferimento al garage), realizzati con cura e metodo artigianale.
Nulla di dispregiativo o sminuente, nessun riferimento al dilettantismo come qualche interpretazione affrettata vorrebbe far credere. Ci vuole tanta passione per realizzare vini così, tutta quella di chi per vivere fa un altro mestiere; bisogna essere capaci della pazienza e della disciplina della terra, quella che si tramanda di generazione in generazione. Fabrizio Priod è un medico del lavoro che vive a Issogne, bassa Valle d’Aosta; da queste parti la vigna è una questione di sempre, di tutti, legata all’autoconsumo molto prima che a una visione commerciale. Le vigne di Priod - poche migliaia di metri in un corpo quasi unico - stanno a dimora su quello che i valdostani chiamano il versante de l’Envers, cioè a dire il rovescio, quella destra orografica della Dora Baltea che da Saint Vincent in su è meno esposta al sole ma che in bassa valle guarda a Sud Est.
A ospitarle è un declivio alluvionale, il cono di deiezione di un torrente sassoso: pietra e ciottolo, forse per questo il merlot - clone francese, le barbatelle originarie arrivarono a Issogne da oltralpe nell’immediato dopoguerra - si è adattato benissimo. Per il resto parliamo della tipica vigna delle valli alpine con i vitigni mescolati un po’ alla rinfusa, pianta dopo pianta. Nebbiolo, freisa, barbera poi cornalin, neyret e mayolet. Priod li lavora da naturale autentico e non interventista, e per questo è considerato una sorta di talebano, una “mosca bianca” in una regione nella quale una certa filosofia ancora stenta a diffondersi, ostacolata da (legittimi) timori legati a malattie della vite e (meno legittimi) pregiudizi relativi alla qualità organolettica dei vini. Nel primo caso Priod risponde con l’esperienza, ad esempio lasciando crescere quanto più possibile l’erba tra i filari in modo che la pioggia rimbalzando sul terreno sassoso non faccia arrivare le spore della peronospora alla pianta; nel secondo caso a dire tutto sono i vini. Il Bocoueil - il nome è quello del torrente allo sbocco del quale sorge la vigna - è terroir al cento per cento, a partire dall’assemblaggio che coinvolge tutti i vitigni coltivati. L’impostazione lineare non gli impedisce di essere evocativo, l’equilibrio si regge su una tensione che dà continuità al sorso bilanciando un corpo non esile. Ma il suo vero punto di forza risiede con tutta probabilità nel tenere unite le molte sfaccettature in un insieme unico. È uno di quei vini degni di stare sulle tavole più semplici senza portare in dote banalità né sciatteria. L’impostazione e la continuità stilistica si fanno lampanti assaggiando successivamente il Rouge Tonen, merlot in purezza: un rosso sensuale, avvolgente ma teso, nel quale convivono una dimensione quasi rustica e la capacità seduttiva del vitigno. Un Merlot atipico e personale, capace di minare le certezze di chi associa (comprensibilmente) il vitigno bordolese alla banalità e all’omologazione; un rosso notevole, pura espressione di territorio, che arriva al sodo senza troppi preamboli.