Regione Chabloz 18/a - Aosta
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Si fa spesso fatica a immaginare una città come luogo in cui crescere e curare un vigneto. Aosta, insieme a poche altre città italiane e europee, può vantare la presenza della vite entro i confini urbani. E non si tratta, nel caso del ca- poluogo valdostano, di qualcosa di sporadico: l’intera collina della città, sulla sinistra orografica della Dora Baltea, vede la vite assai diffusa e nel territorio urbano si contano numerose realtà produttive. La tradizione vitivinicola della città la si riscontra in antichi documenti; i monaci di Sant’Orso sono stati per lungo tempo un faro nella viticoltura regionale. E soprattutto non bisogna dimenticare che Aosta fu il luogo di partenza del canonico Vaudan, considerato unanimemente il padre fondatore della viticoltura valdostana nei tempi moderni.
Questa è la storia di Fabien e Stefania, due giovani ragazzi, il primo dello Jura, la seconda di Milano, che dopo esperienze in Francia e in Svizzera hanno deciso di scommettere sulla Valle d’Aosta. Fabien si forma come enologo in Borgogna e lavora per circa 5 anni presso un mostro sacro della viticoltura biodinamica elvetica, Marie-Thérèse Chappaz. Qui l’incontro con Stefania, anch’essa prove- niente da studi in enologia ed esperienze lavorative in Valle d’Aosta e Svizzera: nasce così un rapporto d’amore e un sodalizio professionale che vede l’approdo in Valle, con l’affitto di 2 ettari di vigna e la produzione di vini figli di 12 tipo- logie di viti differenti, tra autoctoni e alloctoni. Un punto di approdo, la Vallée, che non è detto sia un punto di arrivo: l’animo dei ragazzi è un equilibrio tra il sogno, l’inseguire un’idea e la capacità razionale e tecnica che diventa semplice strumento per supportare una filosofia. Il motore che muove il loro agire si può riassumere come la “filosofia del bello”, che si realizza in vigna con un approccio olistico attento alla terra, senza uso di trattamenti sistemici, diradamenti decisi e un’attenzione all’intero ecosi- stema circostante. In cantina emergono le esperienze dei ragazzi, con un uso sapiente di affinamenti in legno, alcune fermentazioni spontanee: un approccio non interventista, ma di accompagnamento nell’evoluzione del vino. Nessuna certificazione, al momento, ma un lavoro artigianale in una piccola cantina, lontana da alcune immagini di cantine high-tech, dove emerge, con chiarezza e limpidezza, l’approccio un po’ anarchico di questi due giovanissimi. Un modo, per usare le loro parole, per lasciare spazio al dettaglio, al sottile e all’invisibile. I vini, poche bottiglie, rappresentano quasi di sicuro una nuova frontiera all’interno della viticoltura valdostana, un nuovo punto che potrebbe anche diventare motivo di evoluzione per l’intero comparto regionale: il Petit Bout de Lune (riconducibile all’annata 2014), 90% chardonnay e 10% erbaluce, è verticale, sapido e intrigante, dove l’affinamento del 60% in barrique regala una chiusura a tutto tondo; l’Air del Cimes (vendemmia 2015), uvaggio di petit rouge e gamay vinificati in bianco in acciaio, è un vino che spiazza per la complessità olfattiva, la profondità dell’assaggio e il ricordo tannico in chiusura; L’Essence de La Foret (vendemmia 2014), un Cornalin in purezza, potrebbe diventare una pietra angolare della tipologia, dove il carattere selvatico tipico del vitigno e del territorio viene lasciato andare in libertà e portato per mano, chiudendo con una beva convincente; il Sì (vendemmia 2014) è un Petit Rouge in purezza: molto territoriale, porta con sé le note tipiche del vitigno ma declinate all’in- segna dell’eleganza e della finezza; infine il Au Coin du Feu, un assemblaggio di vecchie vigne regala un vino che riporta la memoria ai Torrette Superieur, dotato di grande personalità e beva.