Era una mattina del 1924 quando Marco Trabucchi, ammirando dalla sua finestra il panorama di Illasi e della Valpolicella, fece una scelta. Trasformare la sua passione in un’arte. La sua devozione per il vino, infatti, era maturata fino a sentire - come ogni animo artistico che si rispetti - la necessità di produrre lui stesso la sua opera d’arte. Ma il processo creativo del vino non parte dal nulla. Non consiste meramente nel plasmare il materiale con la forma desiderata. Significa molto di più. In una sorta di maieutica della terra, il contadino deve aiutare la vite a partorire il proprio vino, nel rispetto delle sue qualità, dei suoi tempi e della sua naturalità. Il contadino si professa quindi come una sorta di levatrice che cura e cresce la sua vite, lasciata libera di scegliere dal suolo il suo più congeniale nutrimento minerale senza interventi diretti e chimici che trasformino l’opera d’arte in un mero artefatto. Il carattere biologico diventa quindi tratto peculiare della personalità, in primis della vite, e poi, del vino Trabucchi. “Una scelta, questa del biologico - spiega Giuseppe - fatta ancora in tempi non sospetti, nel 1993, e dettata dal profondo amore per la propria terra ma, soprattutto, per il destinatario finale del nettare di Bacco”.